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Un aneddoto … per chi si occupa di psicoterapia … e non solo:
Di famiglia e di spirito Umberto è liutaio. Abita in periferia in una villetta con un giardino curato e lavora in un ambiente che si annuncia con un meraviglioso odore di abete, acero e resine per le vernici. Alle pareti ha una preziosa boiserie di tavole, sagome e strumenti da ristrutturare. Un giorno mi spiegò che gli strumenti ad arco suonabo prima di avere le corde. Il liutaio assottigliando le due tavole preparate, usando insieme la sgorbia e l’attenzione della passione, le porta a spessori variabili, ma previsti, tali da suonare intonate sotto il ripetuto colpo delle nocche. Sono due tavole: il dorso e la tavola anteriore, fatta con l’abete armonico, e devono essere accordate per levare (vedi metrica), sfogliano cioè con la sgorbia trasparenti veline di legno. Ogni foglietto varia di una frazione di semitono, quando si bussa sulla tavola. Il maestro percuote i legni e ascolta come suonano, più e più volte. Se si sbaglia tutto il lavoro è rovinato. Questo, insieme con i tempi lunghi della stagionatura, lasapienza delle misure, la delicatezza artigianale delle mani, crea un luogo magico, nascosto nello strumento, da cui nascono i suoni. Una volta mi presentai con in braccio il violoncello “malato” di mio figlio: emetteva un suono cavernoso, debole e ronzante. Ma secondo me certo non emetteva alcun suono, mentre lo portavo, protetto dalla custodia dal “santo dottore dei violini malati”. Eppure Umberto, senza alzare gli occhi, dolci come quelli di Geppetto, mi folgorò con queste parole: “Ghe xè cascà l’anema” (“gli è cascata l’anima”), mentre ancora stavo entrando nell’atelier-bottega.
“Cazzo, questa sì è una diagnosi”, fu il mio primo grossolano pensiero. Altro che DSM (manuale per la diagnosi dei disturbi mentali).
Ma come ha fatto? E cos’è l’anima del violoncello?
“E’ un piccolo cilindro di abete che sta sotto il piede destro del ponticello e fasi che la tensione delle corde non sfondi la tavola armonica o altre parti dello strumento”. Mi ricordò un poco i messaggi criptici dei medici, che non si capisce una madonna, ma fanno un effetto da tremar le gambe. Ed ecco il passo drammatico: la terapia.
Umberto pose delicatamente lo strumento “malato” sull’apposito tavolo, spostò trucioli e attrzzi e prese un ferro meravigliosamente curvato ad “esse” munito di una stellina ad un’estremità. Ero spaventato: toccava forse sventrare l’amato violoncello di mio figlio?!?
Umberto, invece, con la delicatezza di una mamma che muove il suo bambino, prese il violoncello per il manico e con l’altra mano introdusse il ferro in una delle due “effe” che decorano l’armonica tavola anteriore e mettono in contatto il mondo interno dei suoni col mondo esterno (dei casini). Questa elegante fessura, uguale appunto alla lettera “effe”, ha un taglio a metà, per il quale l’attrezzo penetrò, raccolse l’anima con un raggio della stellina e con la sapiente pressione di due raggi la fissò al suo posto, sotto il ponticello. A pressione, senza colla!
Ammirato e invidioso, chiesi al “santo”: “Ciò, siòr Umberto, el gà fato de bòto queo che mi fasso, se me riesse, in anni de lavoro. G’avarisselo n’altro fero, ch’el me serveria anca mi a tirar su aneme?!?” (traduz.: “Eh, signor Umberto, in un batter d’occhio ha fatto quello che, se mi riesce, faccio in anni di lavoro. Non avrebbe un ferro in più? Mi sarebbe utile a tirar su anime!?!”